di Shirley Jackson
Adelphi, 2016
233 pagine
Categoria: MILANO-VENEZIA
- Psiche
- Disorientante
- Distorsione
Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa interno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforma contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.
L’occhio umano non può isolare l’infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia per qualche ragione un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill House un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza nel sopracciglio di un cornicione.
Shirley Jackson è la regina degli incipit, l’ho già detto con Abbiamo sempre vissuto nel castello e lo ribadisco qui, parlando de L’incubo di Hill House. Torna su, rileggi la prima citazione e non potrai che esser d’accordo con me. Di nuovo.
Torno alla scrittura con Shirley Jackson perché è stata una delle grandi rivelazioni degli ultimi anni. Lo so bene quanto sia famosa e so bene quanto i suoi romanzi siano stati decantati: è proprio per questo che me ne sono tenuta lontana; quando una storia, un romanzo, un libro viene acclamato da tutti mi creo delle aspettative molto alte, quando le aspettative sono molto alte è molto facile che siano disattese. Più in alto ti trovi, più sarà duro l’impatto.
Se non si fosse capito (ma dubito fortemente), Shirley non mi ha delusa nemmeno questa volta. È stata una scrittrice abilissima, penetrante, tutte le sue opere sono della prima metà del secolo scorso, d’altronde è morta nel 1965, ma la loro attualità è folgorante.
L’incubo di Hill House è un romanzo senza tempo e, come Abbiamo sempre vissuto nel castello, non può invecchiare perché la vera protagonista è la psiche umana.
Anche in questo romanzo al centro della vicenda c’è una casa (aspetto non secondario e non casuale se letto nella cornice della biografia della Jackson), una casa stregata, una casa posseduta. Una piccola comitiva di tre persone si ritrova tra le mura di Hill House per volontà del professor Montague, strano personaggio, con l’intenzione di studiare i fenomeni paranormali dell’abitazione.
Prendete questa scheletrica presentazione della trama, unitela al fatto che l’autrice è la regina del genere gotico e avrete tutti gli elementi per capire cosa vi troverete fra le mani se deciderete di saperne di più su Hill House.
Per quanto mi riguarda vi dico che senza rendermene conto, pagina dopo pagina, mi sono trovata in una vertigine psichica, una di quelle cose per cui a un certo punto apri gli occhi e non capisci come sei arrivato a tanto, a quel livello, a quel punto. Quando cerchi un appiglio non lo trovi, le certezze e i punti di riferimento sono svaniti, chi è davvero il pazzo? Io? Tu? La casa? Sono in incubo? È tutto vero? Chi mente? Qualcuno mente? Quale opzione è la verità?
Attenzione: non è come un film horror fatto di tensione e spaventi, questa è un’opera magistrale, quasi delicata, sicuramente ben studiata, in cui la tensione serpeggia ma non esplode, e questo rende ancor di più stridente e inquietante la vicenda di Eleanor e di Hill House.
Brava Shirley, a presto.