Una passeggiata nella zona

di Markijan Kamyš
Keller, 2019
157 pagine
Categoria: PENDOLARE


  • Straniante
  • Esotico
  • Memoria comune

Armati dell’ottimismo degli slogan utopistici e delle stronzate della roboante grafica sovietica, costruivamo il Sogno. E inseguendolo trovammo la cornucopia: l’energia del nucleare civile. La panacea dell’economia statale, il nostro punto di riferimento nel cammino verso il radioso avvenire del comunismo. Ebbri della nostra potenza, con una fede cieca in un futuro migliore, costruivamo centrali atomiche in tutta l’Unione Sovietica.

Sorrideremo alla vita, che ti sfida e ti dice dove divertirti, dove vivere, dove respirare. Perché alla fine siamo figli del nostro tempo. Dove altro potremmo andare, se no?

Sprofonderò nelle note del silenzio e attenderò con ansia il momento in cui infrangerò la legge, insinuandomi tra gli spuntoni arrugginiti del filo spinato, pungendomi col dolore e coi ricordi, col veleno delle bestemmie e il frastuono del bracconaggio. Col veleno della vita.


Era tempo che Una passeggiata nella zona stava nella lista di libri da leggere. Aspettava il momento giusto. Poi è scoppiata la guerra in Ucraina, una nuova, totalizzante guerra. Si possono leggere tantissimi testi che ti aiutano a capire meglio, a scoprire un po’ di più, ma nella mia testa risuonava, più di tutte, la domanda “Chissà cosa ne pensa, chissà ora cosa farà Markijan Kamyš?”

Così mi sono sentita spinta verso questo autore; abbiamo la stessa identica età ma lui è nato in Ucraina e suo padre è morto presto, era un fisico nucleare e ingegnere, nonché un “liquidatore” di Černobyl’.

Markijan sviluppa una morbosa ossessione per la Zona, quel luogo off limits presente nel bagaglio culturale e iconografico di chiunque. Lui ne è dipendente, e come lui tanti. Soddisfa la sua dipendenza con incursioni illegali, al limite della sopravvivenza (lupi, gelo, polizia, radioattività) e all’occorrenza fa da guida a stranieri europei che vogliono provare il brivido, cosa che, come per tutti i veri amanti di un luogo, non fa piacere: ne snatura l’essenza.

Allora mi sono trovata a pensare a Markijan, alla stretta e forte relazione con la sua terra, con la sua storia, a come la vicenda di Černobyl’ abbia rappresentato una cerniera storica tra occidente e oriente, a come l’Ucraina sia in verità sempre stata a cavallo tra due mondi e che quindi le sue scelte avranno sempre un’importanza particolare.

Forse, anzi sicuramente, ci sono molti libri migliori per capire il mondo e la dimensione ucraina, ma questo volume breve è una decisa dichiarazione d’amore e d’odio, passione e sofferenza, uno sguardo nel profondo di un uomo e della sua relazione con la storia e la propria identità.

A livello di scelte stilistiche e di gestione della narrazione non mi ha davvero convinto, ma questo passa in secondo piano quando sottopelle percepisci cosa ti sta dicendo l’autore, quella cosa così difficile da spiegare che puoi capire o intuire solo se la capti non con la ragione, ma con le emozioni. Non è un romanzo, è una confessione.

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